Il Neocostruttivismo di Morani , ovvero del teatro della vita

ARTE SACRA NEL TERZO MILLENNIO
VIA , VERITA’, VITA

PRESENTAZIONE MOSTRA DI MANTOVA
marzo 2002

A CURA DI PAOLA CORTESE

La necessità di arrivare alla Conoscenza ha spinto l’uomo nel corso dei secoli ad indagare l’universo nei modi più diversi cercando di carpirne i misteri. L’artista pure si è posto il problema e lo ha affrontato dal suo punto di vista. Volturno Morani ha scelto la sua via: la verità può essere solo rivelata. L’uomo-artista è solo di fronte a Dio, unica chiave del mistero della vita. L’era moderna, solo apparentemente lontana da un’innegabile necessità di misticismo, ha fornito nuovi strumenti anche per esprimere la creatività. I risultati delle conquiste scientifiche e tecnologiche non potevano infatti mancare di sollecitare la fantasia di chi è più sensibile, l’artista “in primis”.

Per esaltare l’aspetto progettuale dell’opera, al fine di superare i tradizionali confini della figurazione e riproporre l’unità delle arti, negli anni sessanta del Novecento, proprio nel momento di massimo fulgore dell’Informale, è nato in Italia il movimento del Neocostruttivismo, del quale Morani è stato riconosciuto fin dagli esordi come il caposcuola. Esplorare da un lato le possibilità che la scienza e la tecnica offrivano nella formulazione dei nuovi processi creativi, senza rinunciare dall’altro all’unicità dell’opera, sono state in sintesi le basi di questo movimento.

In un percorso iconografico durato diversi decenni, Morani ha elaborato la sua personalissima poetica arrivando a sintetizzare nel ciclo del Padre Nostro tutti gli assunti che lo hanno visto prendere le mosse da un simbolismo concettuale per approdare ad una moderna soluzione figurativa. Ogni passo della preghiera è stato “smontato” e riproposto sulla tela in monocromo o nei due colori scelti dall’artista per esprimere i concetti di terreno e divino, il blu e il rosso. Dalla cosmogonia delle tele azzurre, prive di elementi antropomorfi, Morani è passato infatti a una rappresentazione che tiene conto della commistione fra i due universi, quello di Dio e quello dell’uomo, lasciando intuire l’esistenza di un infinito che esce dallo spazio, non solo dalla tela.

Visti i presupposti iconografici la scena si costruisce su basi strutturali: cerchi concentrici si alternano così ad andamenti sinuosi, a vortici eccentrici, meno prevedibili, all’interno dei quali Sacro e Profano possono dialogare o comunque interagire fra loro. Così lontani, così vicini. Teologia e astrofisica si intrecciano, incerto è il confine fra le leggi di una o dell’altra disciplina che Morani ha studiato e sicuramente amato.
E se il Neocostruttivismo, almeno quello di prima maniera, fa pensare all’assolutezza dell’arte che poco si cura dei sentimenti umani, e ancor meno di quelli che mettono l’uomo in relazione alla sfera del celeste, il Neocostruttivismo moraniano invece propone una forte carica emotiva capace di arrivare diritto al cuore di chi si sofferma a guardare le sue tele, e questo a prescindere dai soggetti.

La sicurezza con la quale viene costruita la scena paradossalmente evoca, pur nella purezza delle forme essenziali, quegli impianti barocchi carichi di tragicità.
Macchine teatrali moderne, o che dalla modernità hanno desunto almeno i tratti esteriori, sottendono infatti una intensità fortissima di umane emozioni che possono estrinsecarsi negli sguardi delle figure ritratte, uomini o donne che siano, sgurdi dolci e penetranti, caldi e ammalianti che sembrano riconoscere a loro volta chi li guarda. Non c’è dramma nella poetica di Morani, c’è vita, e la vita si rappresenta nei più diversi registri.
Il punto di vista dell’artista però sembra essere quello del demiurgo che plasma le sue creature, le ama, ma le vede come attraverso un filtro, proprio quello dell’amore, perfettamente equidistante da chi vive sulla terra e da chi vive nei cieli.

E’ un percorso pittorico che si snoda , così come la vita, a volte diritta a volte complicata, quello seguito da Volturno Morani, la cui opera si potrebbe anche leggere in chiave numerologica, a partire dalla unicità di Dio Padre fino al grande mistero della Trinità, senza trascurare poi la serie delle sette opere del Padre Nostro, per giungere ai non quantificati cieli citati proprio all’inizio della preghiera.
Una energia vitale si sprigiona in ogni tela e la ieraticità, da un lato, insieme, dall’altro, alla complicità derivante solo da una frequentazione quotidiana, fanno dei volti ritratti da Morani una sorta di icona del terzo millennio. Il disegno di tradizione fiorentina, terra d’origine di Morani, dialoga in perfetta armonia nell’opera del pittore con il colore.

Il minimalismo della scelta cromatica, ridotta a due, il blu e il rosso, propone però una tale ricchezza di sfumature capace di orchestrare armonie musicali, melodiose e avvolgenti, una sorta di ideale colonna sonora per chi, lentamente, si addentra nelle spire dipinte da Morani e, inevitabilmente, si trova a percorrere la sua via.

La sacralità e la compostezza solenne, antica, di queste figure monocrome, squisitamente realizzate da una mano sapiente di pittura, fanno di questi personaggi del teatro moraniano una schiera di messaggeri di buone novelle, di traghettatori rassicuranti per l’umanità in continuo cammino verso un punto lontano, chissà in quale universo parallello, porto di quella pace auspicata dal GIUBILEO.