Il Neocostruttivismo di Morani , ovvero del teatro della vita ARTE SACRA NEL TERZO MILLENNIO A CURA DI PAOLA CORTESE La necessità di arrivare alla Conoscenza ha spinto l’uomo nel corso dei secoli ad indagare l’universo nei modi più diversi cercando di carpirne i misteri. L’artista pure si è posto il problema e lo ha affrontato dal suo punto di vista. Volturno Morani ha scelto la sua via: la verità può essere solo rivelata. L’uomo-artista è solo di fronte a Dio, unica chiave del mistero della vita. L’era moderna, solo apparentemente lontana da un’innegabile necessità di misticismo, ha fornito nuovi strumenti anche per esprimere la creatività. I risultati delle conquiste scientifiche e tecnologiche non potevano infatti mancare di sollecitare la fantasia di chi è più sensibile, l’artista “in primis”. Per esaltare l’aspetto progettuale dell’opera, al fine di superare i tradizionali confini della figurazione e riproporre l’unità delle arti, negli anni sessanta del Novecento, proprio nel momento di massimo fulgore dell’Informale, è nato in Italia il movimento del Neocostruttivismo, del quale Morani è stato riconosciuto fin dagli esordi come il caposcuola. Esplorare da un lato le possibilità che la scienza e la tecnica offrivano nella formulazione dei nuovi processi creativi, senza rinunciare dall’altro all’unicità dell’opera, sono state in sintesi le basi di questo movimento. In un percorso iconografico durato diversi decenni, Morani ha elaborato la sua personalissima poetica arrivando a sintetizzare nel ciclo del Padre Nostro tutti gli assunti che lo hanno visto prendere le mosse da un simbolismo concettuale per approdare ad una moderna soluzione figurativa. Ogni passo della preghiera è stato “smontato” e riproposto sulla tela in monocromo o nei due colori scelti dall’artista per esprimere i concetti di terreno e divino, il blu e il rosso. Dalla cosmogonia delle tele azzurre, prive di elementi antropomorfi, Morani è passato infatti a una rappresentazione che tiene conto della commistione fra i due universi, quello di Dio e quello dell’uomo, lasciando intuire l’esistenza di un infinito che esce dallo spazio, non solo dalla tela. Visti i presupposti iconografici la scena si costruisce su basi strutturali:
cerchi concentrici si alternano così ad andamenti sinuosi, a vortici
eccentrici, meno prevedibili, all’interno dei quali Sacro e Profano
possono dialogare o comunque interagire fra loro. Così lontani,
così vicini. Teologia e astrofisica si intrecciano, incerto è
il confine fra le leggi di una o dell’altra disciplina che Morani
ha studiato e sicuramente amato. La sicurezza con la quale viene costruita la scena paradossalmente evoca,
pur nella purezza delle forme essenziali, quegli impianti barocchi carichi
di tragicità. E’ un percorso pittorico che si snoda , così come la vita,
a volte diritta a volte complicata, quello seguito da Volturno Morani,
la cui opera si potrebbe anche leggere in chiave numerologica, a partire
dalla unicità di Dio Padre fino al grande mistero della Trinità,
senza trascurare poi la serie delle sette opere del Padre Nostro, per
giungere ai non quantificati cieli citati proprio all’inizio della
preghiera. Il minimalismo della scelta cromatica, ridotta a due, il blu e il rosso, propone però una tale ricchezza di sfumature capace di orchestrare armonie musicali, melodiose e avvolgenti, una sorta di ideale colonna sonora per chi, lentamente, si addentra nelle spire dipinte da Morani e, inevitabilmente, si trova a percorrere la sua via. La sacralità e la compostezza solenne, antica, di queste figure
monocrome, squisitamente realizzate da una mano sapiente di pittura, fanno
di questi personaggi del teatro moraniano una schiera di messaggeri di
buone novelle, di traghettatori rassicuranti per l’umanità
in continuo cammino verso un punto lontano, chissà in quale universo
parallello, porto di quella pace auspicata dal GIUBILEO.
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